Una piccola patata viola in via d’estinzione, un piccolo comune nel cuore del Molise, il sogno di un giovane artista e chef toscano che ha deciso di salvaguardare questa precisa tipologia di patata dando luogo ad un progetto che unisce magicamente l’arte all’ambiente e alla sua salvezza.

Questi gli elementi che girano attorno a questa piccola ma enorme esperienza che Andrea D’Amore, ideatore e promotore del progetto, ci racconta in questa intervista.

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Per prima cosa ti chiederei di presentarti: chi sei e cosa fai nella vita?

 

Sono un pioniere di me stesso intraprendo e traduco percorsi. Artista e cuoco indipendente nei luoghi tra la gente, studio il cibo, le sue dinamiche e relazioni. Le orme e le tracce sono un punto di partenza per problematizzare le conseguenze delle azioni, le forme molto spesso sono quelle del vuoto. Assiduo nel tentativo di coincidere con l’altro nell’essere poesia.

 

Come ti sei avvicinato alla patata turchesca e come è nato questo progetto?

 

Sono stato invitato a una residenza per artista a Pesche provincia di Isernia in Molise dal critico d’arte Tommaso Evangelista per sviluppare un progetto. Durante la perlustrazione del territorio di Pesche salendo oltre il bellissimo paese arroccato sulla roccia, nella montagna innevata trovo un recinto con un cartello. Sul cartello c’è scritto “VILLA ARGIA. PIANTAGIONE DI PATATA TURCHESCA COME AI VECCHI TEMPI IL LAVORO è SALUTE CHI SI FERMA è PERDUTO RISPETTIAMO LA NATURA”. Al fianco del cartello un templietto con tre piccoli abeti invasati sbombolettati a nitro per formare il tricolore italiano. Desidero conoscere l’artefice e la storia di quel campo, incontro il proprietario Mario Parmiggiano uno degli ultimi coltivatori della patata Turchesca e la moglie Argia.

 

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Quali sono le caratteristiche peculiari di questa determinata patata?

 

La Turchesca è piccola con gli occhi incavati tipici delle patate di montagna ha una pasta bianca e una buccia ruggine dalla quale traspare il violaceo dell’alone che sta tra buccia e polpa e che in sezione si delinea marcatamente. Nonostante sia una patata a pasta bianca è molto compatta. Gustosissima. La patata cresce bene in alta montagna e per questo è geneticamente importantissima.

 

Che tracce si hanno, nella storia locale, di questo antico tubero?

 

Intorno alla gastronomia si raccontano le storia della patata. La Turchesca con pancetta essiccata inserita in un taglio verticale operato sul tubero non sbucciato e cotte a secco , la Turchesca alla coppa ovvero sotto cenere e carboni ardenti, la Turchesca fritta in olio e rosmarino, i caratelli con Turchesca.

 

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Ho visto che una delle frasi dominanti il progetto recita: “Salvare l’umanità dalla distruzione significa biodiversità agricola. Scambiare e condividere colture, condannare la privativa della produzione, sono un atto di resistenza, di sopravvivenza” . Puoi spiegarci questa frase e dirci come mai la hai scelta come frase rappresentativa del progetto?

 

La custodia della patata Turchesca è intesa come parte per il tutto di quelle che ritengo essere le tematiche più urgenti la PRIVATIVA DELLA PRODUZIONE (monopoli sugli esseri viventi) e l’EROSIONE GENETICA (perdita di biodiversità) delle quali dobbiamo prendere coscienza e affrontare. Rispettivamente le due urgenze potranno costringerci alla SCHIAVITù e all’ESTINZIONE. Possiamo ancora decidere di prendere un pezzo di terra e vivere in autosufficienza come da diecimila anni, di anno in anno e di generazione in generazione ereditare i semi del proprio cibo, essere liberi. Se la biodiversità viene sostituita dalla monocoltura industriale spesso geneticamente modificate ogni anno saremo costretti ad acquistare i semi dall’industria agroalimentare perdendo così la sovranità del cibo. Inoltre basare le economie e la nostra sussistenza su monocolture ci esporrebbe a crisi e carestie infauste, basti pensare alle crisi in Irlanda legate alla monocoltura della patata e applicarla ad un’economia e agricoltura della monocoltura monopolistica globale.

 

Parliamo invece del nome del progetto “Dieci passi dall’erosione genetica” il nome contiene già in sé una forte indicazione ma puoi spiegarci meglio il perché di questo nome?

 

Una sera durante la residenza in compagnia dell’artista Luvi stavamo cercando un locale nella parte moderna del comune di Pesche. Nella campagna era buio e non riuscivamo a raggiungere destinazione. Fermai una macchina a cui chiesi indicazioni, il guidatore senza far scendere il finestrino ci disse che il locale che stavamo cercando era a dieci passi per poi ripartire immediatamente. Suonò come un incubo “a dieci passi” nel buio, era evidente che avevamo a portata di mano la nostra destinazione ma senza potervi accedere. Dieci passi è vicino molto vicino ma non siamo ancora arrivati rimane poco ma anche la possibilità di tornare indietro o cambiare strada. Dieci passi dall’erosione genetica vuol accentuare l’urgenza dei problemi affrontati dal progetto ma anche dare la possibilità di riflettere e che se sarà immediata e di massa la reazione di fare un passo indietro, cambiare rotta non ci estingueremo.

 

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In cosa consiste esattamente il progetto? In che fasi si divide e cosa state realizzando?

 

L’idea di partenza è quella di salvare dall’estinzione la patata Turchesca attraverso l’impegno dei coltivatori custodi e di consegnare loro un seme elite risanato da parte di un dipartimento scientifico. Con la patata Turchesca è stato fatto un prototipo di birra disegnata in collaborazione con il mastro birraio Biagio Sannino del micro birrificio BAS di Pesche. Una volta che il tubero sarà uscito dal rischio di erosione genetica, la birra prodotta artigianalmente dovrà garantirne il vero valore della coltura e giustificare gli sforzi fatti dagli agricoltori per produrre una patata con una resa bassa e non facilissima.

La fondazione di un’associazione della patata Turchesca di Pesche per il ripopolamento e la futura conservazione e promozione della patata.

Una sovrastruttura simbolica estetica per eventi artistico culturali che mi permette, capovolgendo la prospettiva, di sensibilizzare le persone alle tematiche affrontate. Il COMPOST IDEE è il manifesto del progetto Dieci passi dall’erosione genetica, in esso sono contenuti testi scritti da una comunità di pensiero eterogenea che affronta le problematiche da ambiti differenti proponendo possibili soluzioni. Il COMPOST IDEE è pensato per non essere archiviato. Per l’urgenza dei temi trattati i concetti contenuti devono essere subito recepiti per poi liquefarli nel terreno (terreno umano), per fertilizzarlo quale compost per le idee.

Serigrafia con inchiostro 100% naturale ricavato da estrazione di robbia e acacia, carta 80% sterco di elefante e 20% risone. L’idea di produrre carta con sterco di elefante e risone è di un’azienda in Sri Lanka che acquistando il materiale dai contadini gli offre la possibilità di vedere l’elefante come risorsa economica sostenibile ed essere più tolleranti alle razzie dell’animale nei campi coltivati.

 

Chi sta lavorando assieme a te a questo progetto e in che termini?

 

Da quando ho preso l’impegno di custodire e tentare di ripopolare la Turchesca e riflettuto su come contribuire a fermare la schiacciante avanzata del sistema monopolistico e monocolturale ho individuato la parola chiave COMUNITà. Stanno lavorando al progetto i coltivatori custodi Biagio Sannino (anche mastro birraio della birra 10 PASSI) sul territorio di Pesche, Ludovico e Alessandra dell’ Agricola C.A.C.C.A. nell’Appennino Bolognese, Francesco, Lucrezia, Anita e Diego della Fattoria Poggio di Dante a Poppi in Toscana. Il Dipartimento Scienze Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente di Firenze è impegnato nel risanamento e riproduzione in vitro e in attesa di risorse per la produzione di seme elite Turchesca. Hanno contribuito alla costruzione del COMPOST IDEE, l’anima teorica del progetto, con testi che propongono soluzioni alle urgenze affrontate in “Dieci passi dall’erosione genetica” Tommaso Evangelista e Giorgio D’Orazio critici d’arte, Zachary Androus antropologo, Salvatore Ceccarelli genetista e Andrea Calzolari esperto in cooperazione internazionale e finanza (potete leggere i loro testi oltre che sul COMPOST IDEE anche sulla mia pagina web). Grazie al contributo di Villa Romana Firenze è stato possibile produrre la sovrastruttura artistica del progetto. Lavorano al progetto tutte le persone incontrate durante la sua espansione chi comprando un manifesto sta contribuendo allo sviluppo, chi ha preso coscienza critica e fatto un passo indietro. Dieci passi dall’erosione genetica è una piccola scintilla nel grande buio, è parte di una luce urgente, rivoluzione culturale a cui tutti devono impegnarsi sacrificarsi e rendersi liberi.

 

Da parte della popolazione locale c’è stato l’interesse o la volontà di salvaguardare le specie autoctone? Quale è stata la reazione alla tua iniziativa?

 

Evidenzierei piuttosto le difficoltà che i produttori incontrano nel mercato proponendo qualità e non quantità e le lusinghe dell’industria agroalimentare per fagocitarle.

 

Come è stata realizzata la bottiglia che conterrà la birra di patata turchesca? Quali le sue particolarità?

 

Per la birra 10 PASSI è stata realizzata una tiratura d’artista di 10 bottiglie in terra cotta a forma di patata, su mio disegno modellata dall’artista Stefano Pascolini. La bottiglia ha un taglio in sezione su cui è stato scritto il testo “Salvare l’umanità dalla distruzione significa biodiversità agricola. Scambiare e condividere colture, condannare la privativa della produzione, sono un atto di resistenza, di sopravvivenza”. Una volta che la patata sarà salva dal rischio di erosione genetica la birra non sarà più un oggetto d’arte ma sarà prodotta artigianalmente, imbottigliata ed etichettata classicamente, veicolo della storia del progetto e delle tematiche affrontate ma totalmente indipendente e come già accennato punto di forza per la coltivazione della Turchesca.

 

Quali sono le caratteristiche di sostenibilità del progetto?

 

E’ sostenibile perché fatto di persone di comunità e passione. Il tentativo è quello di creare un’economia per la comunità di Pesche preservando e ripopolando un alimento unico e gustoso tutelandolo ma soprattutto condividendo la biodiversità e la sua esperienza.

Come scrive D’Orazio nel COMPOST IDEE “Produttore e consumatore, al contempo, dovrebbero uscire da ogni logica di profitto e di risparmio che non sia perfettamente e onestamente tarata sulle reali esigenze dell’uno e dell’altro, ritrovando un’armonia che renda l’economia al servizio delle relazioni sociali e non il contrario…”

 

In che modo secondo te l’esclusività di un prodotto può cambiare le dinamiche che regolano le scelte dei consumatori?

 

Purtroppo le logiche della finanza del debito si sono affermate cancellando l’immagine della Dea Madre che ciclicamente e incondizionatamente offre, sostituendo a questa immagine e al suo valore un sentimento di paura che genera cupidigia e esigenza di accumulo, distruggendo la logica mutuale delle comunità con un individualismo che pone uno contro l’altro, come ci spiega Calzolari. L’esclusività è una parola che genera competitività scontro per avere e incarna questa cultura contemporanea del successo ad ogni costo.

L’esclusività crea desiderio la nostra società è fondata sulla scarsità nel mercato moneta in primis “Andrea Calzolari nel COMPOST IDEE scrive “Questo processo di creazione viene anche chiamato” Fiat Money” ovvero le prime parole della Genesi in cui venne create la luce, proprio a testimoniare questo processo di creazione dal nulla. Il problema sorge per gli interessi che noi dobbiamo rimborsare insieme al capitale. Nell’esempio dei 200.000 € solo questi vengono creati dalla banche mentre gli altri 100.000 € di interessi da rendere in 20 anni (ad esempio) non vengono creati. Il debitore viene “inviato in battaglia” contro il resto del mondo per procurarsi i 100.000 € di interessi da rimborsare nelle rate del mutuo e non creati. Squarciare il velo di tecnicismi che avvolge il mistero del sistema monetario è per pochi coraggiosi economisti come Jackson e Mc Connel che rispetto alla competizione (battaglia per rimborsare i debiti) scrivono: “la moneta debito riceve 1 il suo valore dalla sua scarsità rispetto alla sua utilità”. In altre parole la scarsità viene artificialmente creata e mantenuta nel sistema. Sempre secondo questi economisti il ruolo delle banche centrali oggi è proprio introdurre e mantenere artificialmente questa scarsità. Per meglio dire le Banche Centrali competono tra loro per rendere le proprie monete internazionalmente scarse, in modo da mantenere il loro Valore relativo e la scarsità allo stesso tempo. Il fenomeno è da indagare anche sotto il profilo della psicologia di massa”.

Un’altra risposta la da Salvatore Ceccarelli nel COMPOST IDEE proponendo le popolazioni evolutive, una produzione costante di biodiversità che sostituisca abbondanza ed evoluzione all’esclusività e all’estinzione.

 

Ho letto che il progetto viene definito dall’”anima attivista”, puoi spiegarci in che senso?

 

Penso tu ti riferisca ha quanto scritto da Tommaso Evangelista nell’introduzione al progetto “Dieci passi dall’erosione genetica è una riflessione lucida e complessa sulla perdita di diversità genetica naturale e sullo stato delle politiche agricole viste attraverso il filtro selettivo dell’arte. Il tentativo di resistenza contro la smaterializzazione della tradizione agricola territoriale diviene forma viva e filosofia d’azione, denuncia e momento di sintesi affinché una specie rara, rivitalizzata attraverso un processo di strutturazione analitica del senso, sia capace di creare nuova ricchezza, quindi sviluppi economici, ma soprattutto comunità, ovvero differenti dinamiche relazionali e sociali.”

Ha un’anima attivista perché non è una contestazione e neanche una parodia (anche se queste forme non sono prive di attivismo) ma una proposta di qualcosa di concreto e alternativo è un progetto che produce autonomia. La sua primaria produzione è di massa critica fondamentale per questa salvezza (Jackson and McConnell, Economics. McGraw-Hill, Sydney 1988).

 

Pensi esista un deficit da parte delle pubbliche amministrazioni nella tutela e valorizzazione dei prodotti tradizionali e tipici del territorio? Si potrebbe fare di più in termini “istituzionali”?

 

Dal COMPOST IDEE lascio rispondere Giorgio D’Orazio, “Ecco ancora la parola «sopravvivenza» ed ecco che la risposta urgente a questo avvertimento, non difficile da recepire tra scaffali dei centri commerciali e campi abbandonati o martoriati dagli artifizi produttivi, non può che essere rappresentata da una ridefinizione delle dinamiche di domanda-offerta, nella moltiplicazione delle singole, personalissime, consapevoli richieste di «cibo etico». Deve essere però una fame intellettuale prima che fisica a guidarci, un serio boicottaggio quotidiano di ciò che chiaramente non può rientrare in una filiera semplice, trasparente, saporita di produzione, un appello intransigente perché le certificazioni di prodotto siano sempre più stringenti e veritiere, le indicazioni di legge sempre più diffuse, esplicative e riscontrabili.

Ancora una volta la responsabilizzazione deve partire dalla coscienza individuale, capace di agire sull’immaginario collettivo, di fare massa critica, di formulare proposte di alternativa possibili, di percorrere sentieri concludenti.”

E ancora con Zachary Androus “Aumentare il numero di prodotti denominati non è necessariamente la soluzione al problema. Come ha notato l’antropologa Jillian Cavanaugh nella provincia rurale di Bergamo, una denominazione speciale non è di per sé sufficiente per aprire il mercato a prodotti locali. E senza il mercato, non vi è alcuna speranze che questi prodotti sopravvivano, perché le circostanze storiche che le hanno generate hanno lasciato il posto ad economie di mercato e produzioni in scala. Se la commercializzazione è l’unica soluzione, allora diventa necessario accrescere il potenziale commerciale di prodotti altamente localizzati, in modo da poter superare i costi associati alla loro restrizione geografica. Prodotti con un valore aggiunto, che vedono i prodotti originali impreziositi da una preparazione più elaborata, sono fondamentali nel sistema alimentare moderno data la loro capacità di trasformare componenti deperibili in beni a lunga conservazione o congelati che facilitano lo stoccaggio, la distribuzione e la ridistribuzione.”

Penso che dovremmo ribaltare la logica delle certificazioni di prodotto obbligando (e evidenziando sul prodotto messo nel mercato), piuttosto che chi produce eticamente, chi non produce cibo ecologico, sano e gustoso e gravare su queste aziende i costi di certificazione. Lasciare invece sgravati di costi assurdi chi produce in maniera etica agevolandone il lavoro e proporlo per quello che è ovvero la normalità la sussistenza e non una commodity, un business.

 

Vuoi lasciare un messaggio ai nostri lettori?

 

Non lamentatevi se i prodotti genuini e etici sono troppo costosi invece rivalutate i vostri salari se sono troppo bassi. Cercate l’autosufficienza, gioite nel condividere, producete cibo ovunque ci sia la possibilità di farlo su un balcone, nel giardino condominiale ecc… e trasformate la materia prima senza acquistare prodotti confezionati, mangiate il più possibile i prodotti integri, scegliete di comprare prodotti etici biologici (quelli veramente biologici non fidatevi del linguaggio inquinato del biologico cercate di andare in visita a chi produce il cibo che mangiate) e ecologici. La stagionalità e il prodotto locale abbattono consumi di energie e produzione di rifiuti spesso non smaltibili, creano comunità. Non è una scelta di vita questa ma un’urgenza per la libertà e la sopravvivenza.

 

Dove possiamo seguire gli sviluppi del progetto?

 

Il progetto ha un diario sulla mia pagina web www.andreadamore.org sui social condivido gli eventi per l’espansione del progetto FB Andrea d’Amore espanso, Instagram andreadamoreespanso.

Soprattutto gli sviluppi devono essere perseguiti da ognuno di noi nelle scelte quotidiane nella propria coscienza e conoscenza nella gioia di se e dell’altro, nel dialogo con la natura.

di Ariele Pitruzzella