L’inizio, il ritorno.

Quando in quei pomeriggi pallidi e ariosi, nell’aria pura di una Trento di cui le montagne sono guardiane, si concretizzava nelle nostre menti e nelle nostre parole l’idea di portare In Medias Res a Palermo, di aprire una sede operativa e tornare finalmente a lavorare nell’amata terra d’origine, dietro la propensione principale che animava le nostre più profonde intenzioni, composta dalla memoria e dagli affetti, si apriva un universo contraddittorio di emozioni e riflessioni. Dopo aver toccato con mano certe evidenze distintive che caratterizzano il rapporto tra nord e sud d’Italia la paura del ritorno è naturale, la paura del confronto con qualcosa da cui si è inevitabilmente fuggiti si scontra violentemente con la necessità e la voglia di riconciliarsi con essa e con le sue contraddizioni. Tra le legioni del nostro immaginario privato uno dei capitani indiscussi che ha fin da subito motivato i nostri propositi è stato proprio lo Zen 2.

Lo Zen quando eravamo ragazzi era luogo di passaggio e leggende, era la “zona franca dove la polizia non entra”, era un dedalo di commerci e movimenti, e nel vederlo o conoscerlo più che il pregiudizio era la mitizzazione il rischio dominante, in un susseguirsi di storie sentite, vissute o raccontate in cui tutti erano protagonisti meno che il quartiere. Crescendo e rapportandosi con la vita pubblica, in quegli splendidi anni dove si impara ad applicare il senso critico alla realtà e non più ai libri o dai libri, la percezione dello Zen si trasforma velocemente, se ne vedono le criticità e le ingiustizie, non ancora le virtù ed i valori, e la facile capacità della cittadinanza di stigmatizzare ed estremizzare il quartiere appare radicale e disarmante.

Negli anni passati in altre città e regioni mai si è esaurito il desiderio di tornare presso questi luoghi e provare a porsi al servizio di essi.

Tuttavia prima di tornare definitivamente a Palermo nessuno di noi era ancora riuscito non solo a conoscere, ma neanche a presentarsi timidamente a questo quartiere, a viso aperto e con il sorriso, come in effetti meriterebbe, e proprio per questo una delle prime attività dell’Associazione una volta tornati è stata rivolta proprio a questo quartiere, ai suoi profili torridi di lamiera, al cemento esasperato che la divide dal resto della città, alla bellezza fiera dei volti di chi vi abita.

 

Il quartiere, il progetto.

Il nostro progetto si è andato ad inserire in un universo di energia e cambiamento. Il Laboratorio Zen Insieme, punto luce di Save The Children, fiorisce nel cuore del quartiere Zen 2, laddove non troppi anni addietro era impensabile qualcosa del genere. Il centro è un meraviglioso esempio di come ogni comunità abbia necessità di punti di riferimento interni alla propria realtà territoriale specifica: non più il becero paradosso di interventi spot con velleità di solidarietà sociale, ma piuttosto il radicarsi di pratiche ed idee virtuose, l’evolversi di un’identità di quartiere e di una crescita effettivamente Insieme allo Zen, insieme ai suoi abitanti e alle sue difficoltà. Non è un caso infatti che tra i fondatori dell’Associazione figurino alcuni abitanti del quartiere ZEN, oltre ad un gruppo di assistenti sociali che lavoravano già nel quartiere Albergheria. Potrà sembrare banale o retorico, ma vi assicuro che è necessario dire, per onestà descrittiva, che la prima sensazione che si ha cominciando a lavorare al Laboratorio è proprio quella che sia una grande famiglia.

Il progetto ideato da In Medias Res ha visto la realizzazione di un corso rivolto ai più piccoli sulla costruzione e l’utilizzo di burattini realizzati utilizzando materiali di recupero. I laboratori sono stati gestiti da Alessia D’amico, Miriam Mangiarotti e Maurizio Maiorana, professionisti del settore e membri dell’associazione culturale Alf Leila di Palermo che da anni lavora nell’ambito della scenografia per il cinema e lo spettacolo e del teatro delle marionette.

Tutto il lavoro didattico e creativo è stato costellato dall’apprendimento, tramite il gioco, di nozioni ed informazioni di carattere ambientale, con particolare attenzione alla flora locale e alla fauna marina del mediterraneo. I bambini hanno disegnato sia alberi che piante della macchia mediterranea, ma anche i principali pesci che popolano le nostre acque, seguendo un riadattamento in chiave Siciliana del celebre libro “L’homme qui plantait des arbres” di Jean Giono, e la storia della tradizione popolare palermitana “Colapesce” e trasformando questi disegni in burattini e scenografie per il teatrino. Il progetto si è concluso con la messa in scena dello spettacolo all’interno del quartiere nel giardino planetario di Via Primo Carnera (realizzato per Manifesta12, biennale nomade di arte contemporanea) e ha visto la partecipazione dei genitori e di altri abitanti del quartiere che in un assolato pomeriggio di maggio hanno assistito al lavoro preparato e realizzato dai bambini. Alcune settimane dopo lo spettacolo abbiamo organizzato una gita al Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino, dove i bambini hanno scoperto burattini e marionette provenienti da tutto il mondo e hanno trovato esposte, con grande meraviglia, anche le loro stesse creazioni.

 

 

Conclusione, riflessioni.

Il nostro piccolo contributo, come già detto, si è inserito in un contesto già profondamente attivo e radicato. Potrebbe sembrare alla stregua di una goccia nel mare e in un certo qual modo effettivamente lo è. A Palermo come in tante altre parti d’Italia lo sviluppo di questo particolare tipo di comunità sta letteralmente garantendo una salvaguardia sociale del paese o di alcune zone da esso dimenticate. La struttura composita che questo tipo di dinamiche necessitano ci pone davanti l’evidenza che non è il singolo intervento peculiare in sé a poter avere carattere definitivo nella storia di un determinato contesto, ma piuttosto il suo inserimento sinergico all’interno del tessuto già presente.

Tra tutti gli attori di questo nostro primo incontro con lo Zen uno certamente spicca per carisma ed interpretazione: le energie e i vari livelli di comunicazione che si sono creati durante lo svolgimento delle attività progettuali ci appaiono come protagonisti indiscussi del nostro lavoro e ci destituiscono dai meriti ad esso legati nella necessità di una prospettiva e di un costante sguardo al futuro. I meriti infatti sono distribuiti al pari di un’orchestra, la cui armonia è composta dai singoli divenuti momentaneamente uno solo. E poiché non solo di carne e pensieri ma soprattutto di emozioni siamo fatti ci sentiamo di poter affermare che direttori indiscussi di quest’orchestra sono stati i bambini, con la loro energia spontanea, con la loro loquace incomunicabilità e con i mille gesti e decisioni che li rendono spesso più saggi e intelligenti degli adulti. Ed è dunque loro, in cuor nostro, che ringraziamo per aver reso lo Zen uno Spettacolo.

 

di Ariele Pitruzzella